Non possiamo continuare a immaginarci cose e accontentarci di tutt'altro solo perché ce l'abbiamo già davanti. - A. De Carlo

Proprio ieri, durante un colloquio, ho avuto un attacco di ira di fronte a chi mi diceva che, in fondo, il segreto del benessere è questo: chi si accontenta gode. Il significato del consiglio che mi è stato dato era quello di orientarsi verso obiettivi possibili, realistici, raggiungibili. Certo, le utopie non fanno bene. Ma chi è in grado di stabilire che un obiettivo sia raggiungibile? Come si chiede De Carlo, dovremmo forse pensare di accontentarci di ciò che ci sta davanti? Questo sarebbe il raggiungibile, quello che semplicemente la vita ci pone davanti, a fianco, vicino? Tutto qui? E se ci fossero obiettivi raggiungibili, difficilmente raggiungibili, per cui bisogna davvero rimboccarsi le maniche e lottare contro il nemico peggiore, il tempo? Ah ma allora no, saremmo dei pazzi che non si accontentano di quanto già hanno. E le ambizioni che ruolo dovrebbero giocare nella nostra vita? E quale ruolo le speranze? Entrambi termini che cozzano con il verbo accontentarsi. La saggezza greca ricorda in ogni suo mito che non bisogna oltrepassare i propri limiti, peccando di presunzione. Eppure il limite va raggiunto, bisogna esplorarlo e poter dire di aver fatto il possibile. Altrimenti ha ragione l'autore della frase succitata: non possiamo continuare a immaginarci, sognare, volere, desiderare cose e poi accontentarci di tutt'altro solo perché ce l'abbiamo davanti. Tanto vale rimanere sotto un cielo fermi immobili e aspettare che piova per dissetarsi. Citando Il piccolo principe, preferisco camminare piano piano nel deserto in cerca di un pozzo d'acqua.

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