Sempre vaga l'anima. Luoghi e ricordi

Che l'anima esista o no, è problema scottante della scienza odierna e palpitante esperimento dei suoi scienziati. Se ci si distoglie un attimo al mero materialismo di tanti approcci positivistici, la tradizione artistico-letteraria non mette quasi mai (ma si pensi a tanti filosofi  e letterati atei e materialisti che popolano soprattutto il XIX secolo) in  discussione l'esistenza dell'anima. Definirla sarebbe impossibile, poiché essa, come evento, muta si sposta viaggia. Sono allora i luoghi dell'anima quelli che la letteratura ci consegna. Una parte dell'anima è comprensibilmente legata, per la storia, per la sua stessa nascita, alla terra natia. In Romeo e Giulietta il protagonista maschile si rifiuta categoricamente di potersi allontanare da Verona, sia pur per aver salva la vita. "Non esiste mondo al di fuori di Verona: non c'è che purgatorio, supplizio, l'inferno stesso" (cit. Shakespeare, Romeo and Juliet, atto III, scena III). Il vivere nella terra natia può essere quindi sostegno, pane dell'anima, senza la quale inferno sopraggiunge. Chi invece è costretta all'addio ai luoghi natii, scrigni della sua anima in pena, è Lucia Mondella, che nel celebre passo manzoniano sospira: "Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!" (cit. A. Manzoni, I promessi sposi, VIII). Nella nostalgia che prova Lucia, come quella di Romeo, vi è il ricordo dell'amore, di cui trabocca la sua anima, che proprio lì, in quella chiesa "doveva essere solennemente benedetto....; addio!". L'anima di Lucia si trova quindi avviluppata completamente nell'amore e nell'eterna promessa. Ancora la terra natia è il luogo dell'anima di un intero popolo, nel '900, gli Ebrei, come oggi lo è altrettanto di quelle (troppe) popolazioni che vivono senza terra, da indesiderate. L'angoscia del popolo ebraico, la sua anima vagabonda sono state riprodotte nell'opera dell'artista Marc Chagall. Ricorrenti nelle sue opere sono almeno due tematiche: Vitebsk, il suo paesaggio natale e il volo, sopra i tetti, Parigi, il mondo. Entrambe le tematiche vengono espresse nell'opera "Il violinista sul tetto", dipinto del 1912. La nostalgia per il paese d'origine traspare evidente dal villaggio rappresentato sullo sfondo, come lo è la considerazione consapevole della condizione vagabonda ebraica, simbolizzata dall'instabile violinista sul tetto, costretto a suonare restando in equilibrio. Chi non ha consapevolezza della vacuità e dell'incertezza del futuro e di dove la spinta possente del destino possa far fluttuare l'anima sono i Malavoglia. La famiglia di pescatori descritta da Verga è attaccata ai propri luoghi, schemi, valori, superstizioni, tradizioni esattamente come un'ostrica al so guscio. Non è pensabile guardare a loro come al violinista di Chagall; la loro condizione sociale li relega in quel luogo impervio, selvaggio, mostruoso talvolta che è il mare. Quello è il luogo dei loro affari, nient'altro che quello scenario abiterà la loro anima. Non è della gente che "va pel mondo", che si preoccupa Mena, poiché tanto "....camminare e camminare sempre, giorno e notte, non si arriverebbe mai" (cit. G. Verga,  I Malavoglia, 1881). L'anima dei Malavoglia abita la  tradizione, i valori famigliari e quel duro lavoro di mare che da sempre li mantiene. E' la famiglia ma soprattutto il piccolo nucleo sociale di Aci Trezza a custodire l'anima di questo piccolo e misero mondo marinaro. Vi è un altro luogo dell'anima, che trascende ogni particolare posto fisico ove talvolta ci si finge di nascondere. E' il ricordo. Così Foscolo nei "Sepolcri" tesse un elogio di Firenze in quanto madre e memoria dei più grandi poeti italiani. Coloro le cui anime si riversarono in mirabile poesia eternante, nacquero e vissero protetti da Firenze. E' chiaro però che il prediletto luogo dell'anima foscoliano è il ricordo, affidato appunto all'eternante poesia. Dopo aver molto viaggiato, ma anche dopo essersi a lungo arenata, l'anima giunge ai porti sicuri di felici ricordi, e lì si abbandona. Così Petrarca affida la sua anima, il suo "spirito lasso", al ricordo dell'amata donna che si bagna in "chiare, fresche et dolci acque". Non c'è miglior luogo dove il poeta vorrebbe far giacere il suo animo: "non poria mai in più riposato porto né in più tranquilla fossa fuggir la carne travagliata e l'ossa" (cit. Petrarca, Canzoniere, CXXVI). Ancora la natura diventa il luogo prediletto dell'anima. Pascoli la culla coi ricordi dei luoghi dell'infanzia felice, e un senso di nostalgia simbolicamente la rapisce a immaginare con quanto desiderio ancora vorrebbe essere lì. La sua anima è dissociata, tentenna nel presente  solo ripercorrendo i luoghi del ricordo. Ben più irrequieta è l'anima leopardiana, il cui "cor per poco non si spaura" (cit. G. Leopardi, Infinito). La sua anima è persa nel vagare, non si colloca in un luogo preciso, non viene descritto nessun riparo alle sue pene. Recanati e la sua campagna non hanno il potere di fermare lo scalpitante  e tumultuoso pensiero che la sua anima ospita e che lo trascina via come guidato da possenti purosangue alla volta, niente meno, che dell'infinito. Arriva per chiunque il momento dell'anima in cui, dai luoghi che ha abitato,  si trova a doversi staccare. La morte avvicina tutte le anime, raccontano le poesie di "Antologia di Spoon River" di E. Lee Masters. "Dormono tutti sulla collina". La morte e la sepoltura fisica sono la meta finale di ogni anima, in una visione materialista che accomuna tutti gli uomini. Ma il bambino di Elsa Morante no! Lui in tutto sarà speciale, anche dopo la morte, che renderà eterna la sua anima: "Stella sospesa nel cielo boreale, eterna: non la tocca nessuna insidia" (cit.E. Morante, L'isola di Arturo, dedica, 1957). E' quindi destino dell'anima il viaggiare, se non addirittura il vagare dantesco, ma quale che sia il suo punto di approdo, il suo senso profondo è che essa sia, ovunque, stata. Sono i luoghi  a riempirsi del viaggio dell'anima.

Commenti

Malla ha detto…
Il dentro e' un fuori ripiegato. (G. Deleuze)
Silvia Aresi ha detto…
nel dentro, anzi nel profondo c'è molto di più di quel che crediamo e conosciamo.