Ero troppo ubriaco per lamentarmi: sentivo solo il morso e la tristezza selvaggia di un'altra buona cosa persa per sempre. (C. Bukowsky)

Ero troppo ubriaca o troppo stanca o troppo rassegnata o troppo abbattuta per lamentarmi. In fondo nel fondo dell'alcol si trovano stanchezza rassegnazione e abbattimento, quindi tutti questi loschi sentimenti si accompagnano bene insieme. Ero troppo stanca, quindi. Sentivo solo il morso della tristezza, che come la fame arriva inaspettatamente, come un'onda che non puoi controllare, che ti sommerge. Lì, sotto quell'onda, sentii la selvaggia tristezza che come un'animale allo stato brado non potevo domare. L'onda mi ha travolto e non ho potuto pensare a nulla, se non abbandonarmi a quello che il mio corpo in ogni sua parte sentiva, sprofondando senza respiro: il morso della tristezza. Tristezza, figlia della morte e ad essa molto vicina. Vivere nella tristezza non è forse esser già mezzi morti? Eppure quando avvertiamo che una cosa buona è morta per sempre, come non esser tristi? Come non lasciarsi vincere dalla figlia della morte a rapirci? Ed era lì, mentre finivo l'ossigeno travolta dagli abissi in cui l'onda mi aveva sprofondata, che ho trovato l'alternativa. La rabbia, verso quell'onda terribile, verso me stessa che ci ero caduta dentro, verso la mia debolezza di non saper risalire, verso la mia ingenuità. La morale della favola è che per il nostro bene, per difenderci e proteggerci dal male che inevitabilmente incontreremo e in cui inciamperemo, è prenderlo di petto, con rabbia. Non si è ancora felici, ma si è liberi dalla tristezza. Posso assicurare che la sensazione di vera e autentica libertà è qualcosa per cui val la pena vivere e soffrire. Dà la certezza di un potere che nessun possesso darà mai.

Commenti