“La preoccupazione per la propria immagine, è questa la fatale immaturità dell'uomo. È così difficile essere indifferenti alla propria immagine. Una tale indifferenza è al di sopra delle forze umane. L'uomo ci arriva solo dopo la morte. E neanche subito. Solo molto tempo dopo la morte.” (Milan Kundera)

Ogni essere umano è preoccupato della propria immagine. Ma qualunque essa sia, non è quello che vediamo allo specchio, sia reale, sia metafisico, a generare timore.
Li vediamo i chili di troppo, la pelle non tonica, il naso storto, gli occhi vicini, cosi come sentiamo i nostri pensieri più reconditi, i nostri desideri.
Vorrei dire, vorrei fare, vorrei scrivere, vorrei essere, vorrei amare.
Non è niente di tutto ciò a farci profondamente paura.
Il giudizio che gli altri impongono sulla nostra immagine, è il vero terrore. 
Perché io posso, certamente, imparare a mettermi davanti allo specchio e dire: va bene, sono così, lo accetto.
Sono gli altri a non farlo, e siamo noi a temere che non lo facciano.
E allora, accettiamo il giudizio negativo? Raramente.
L'accettazione non può che essere profonda e reale.
Nei social trova espressione la più grande libertà: la libertà di fingere. 
Perché accettare una realtà in cui non so confrontarmi con un altro essere umano, dialogando, quando posso solo mettere un like?
Perché accettare i difetti del mio viso, del mio aspetto, quando posso modificare e stravolgere una foto fino a renderla appetitosa? Finta, ma appetitosa? 
Perché dover dire di no a una persona, quando basta semplicemente ignorare i suoi post e i suoi messaggi?
I social media hanno creato e dato in mano a ciascuno di noi la chiave del potere assoluto: fingere di essere chi non si è e vivere la vita che non si ha.
Così, nascosto il nostro vero io, possiamo far brillare e mettere in mostra la creatura finta e perfetta che abbiamo plasmato.
E ci credono tutti. Noi ci crediamo. Tutti coloro che usano i social ci credono. 
La finzione è più importante della realtà, pesa di più. 
Il mio ego sui social triplica. Nella mia giornata posso aver a che fare con 20 persone; nei social diventano almeno 200.  Il mio ego finto, potenziato, pompato, visibile al mondo intero. Lui, è quello che devo coltivare.
Non certo la vita reale dove sono solo, imperfetto, incompiuto, in ombra.
E se non appaio sui social, semplicemente, non esisto.
Come? Hai solo 50 follower su Instagram? E che sei, morto? 
Come se ogni finto amico, finto follower ripassasse le linee dell'esistenza, i contorni dell'essere. Se non ci sono, non si può più alimentare l'ego fittizio. 
E allora, cosa? E' finita.
Oppure? Oppure?

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